Per la Cassazione italiana il diritto di mantenere la relazione genitoriale afferisce  alla sola paternita' violenta, anche a costo di recidere la relazione genitoriale con la madre protettiva che non accetta di subire? 

25.05.2020

di Avv. Michela Nacca

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L'Ordinanza della I sez. Civile della Cassazione del  19 maggio u.s., n. 9143 e' chiara.

Il minore, anche se dimostra paura verso il padre gia' denunciato e rinviato a Giudizio per violenze domestiche,  deve rimanere in comunita'  con il padre, cosi come gia' deciso dalle Corti di merito, al fine di recuperare la relazione paterna  ed a costo di essere sradicato dal proprio ambiente familiare e sociale, vedendo  sospese le relazioni con la madre protettiva.

Il motivo?

La madre, non perdonando l'ex compagno, sarebbe ancora troppo focalizzata sulle violenze subite, cosi da non permettere al figlio di allacciare un  rapporto con il genitore.

Eppure la violenza agita da questo padre non viene negata dalla Cassazione, ne' viene negato che  il bambino vi abbia assistito. Lo stesso  tutore del bambino, nonche' il CTU e gli assistenti sociali hanno rilevato la particolare aggressivita' paterna, non ignorata nella contraddittoria sentenza della Cassazione: che attesta come il bambino dimostri un forte rifiuto  del padre,  ma questo pur  chiaro sintomo di  violenza - subita o assistita - viene reinterpetato nell'Ordinanza, pregiudizialmente, come frutto di "influenza materna", sebbene numerosi siano gli studi scientifici seri che dimostrano l'infondatezza di un simile costrutto !

I Giudici dovrebbero sapere che la violenza non puo' essere mai  considerata un buon contesto in cui far crescere in modo sano e sereno un bambino!  Innumerevoli e seri studi scentifici psicologici, psichiatrici, sociologici e pedagogici, trasfusi nell'art. 330 cc e nella Convenzione di Istanbul,  dimostrano cio'.

La violenza, condannata nelle sue molteplici diversificazioni nei codici penali, quando si tratta di minori viene giustificata, riabilitata....depenalizzata!

La stessa Onorevole Giannone mesi fa aveva presentato una interrogazione parlamentare circa questo caso (v. in   https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/04612&ramo=CAMERA&leg=18) rilasciando una immediata intervista sulla Ordinanza di Cassazione (v.  in https://www.dire.it/25-05-2020/464974-giannone-la-cassazione-non-ha-garantito-linteresse-del-bimbo-di-lecce/?fbclid=IwAR3ZqxUJ68OuUhdLx-GlFDEL2wb79rMXqnyQR3pZ3YY1AyxBzraO6M6nTAQ).

Le stesse Corti di merito hanno valutato necessario che questo padre dovesse  vivere con il figlio in struttura, proprio al fine di rieducare il padre, probabilmente "rillineare" il figlio con il genitore, ma anche   proteggere il minore da eventuali comportamenti aggressivi e violenti del padre stesso, come l'Ordinanza ha specificato: cosi confermando  implicitamente che con una tale decisione avrebbero esposto il bambino al rischio di assistenere o subire di nuovo la violenza paterna!

Con questa Ordinanza la Cassazione italiana ci conferma  dunque che l'art.337 ter c.c. non tutela tutte le relazioni genitoriali ma solo la relazione paterna  violenta,  non anche la relazione materna:  a meno che la madre  accetti di agire ella stessa violenza sul figlio o che, meglio ancora, smetta di  denunciare, di soffrire, di tentare di proteggere il figlio, di protestare e richiedere Giustizia!

Cosi, mentre il WHO ribadisce che la pseudo teoria della Alienazione Parentale non ha alcun fondamento scientifico tanto da escluderla dall'ICD 11, la Cassazione italiana viene espugnata dalla "junk science" ,  che ritiene la violenza di un genitore non pericolosa ne' pregiudizievole  per il minore, dunque ingiustificate sia le denunce di una madre sia  i suoi consequenziali, naturali comportamenti protettivi.

In nome di una FALSA CONCEZIONE DI BIGENITORIALITA' (in realta'  un "maschieramento" della difesa della paternita'  violenta) viene confermata la decisione di recidere i rapporti del minore con la madre protettiva vittima di DV  e si  ribadisce la validita' della collocazione del minore con il padre, denunciato e rinviato a Giudizio, in una struttura protetta.


LA VIOLENZA, in tal modo,   NON VIENE PIU' NEGATA MA COMPLETAMENTE ACCETTATA DALLA SUPREMA CORTE , CON TUTTI I RISCHI ED I PREGIUDIZI CONSEQUENZIALI PER IL MINORE !

A CHE PRO DUNQUE MANTENERE NEL CODICE PENALE IL REATO DI MALTRATTAMENTI DOMESTICI?

La madre protettiva  per la Cassazione sarebbe  più pericolosa e pregiudizievole - sulla salute del minore - del padre riconosciuto violento !


Siamo all' "apice della follia".

La decisione appare evidente in tutta la sua  illogicita' e, di conseguenza, nella sua disumanita'  !

 La Corte definisce come "altamente conflittuale"   la relazione fra le parti (  viceversa rivendicata come violenta dalla donna, che si dichiara vittima di violenza da parte del padre del figlio minore).

Eppure una relazione conflittuale, ancorche' "gravemente o altamente conflittuale", e'  pur sempre una relazione paritaria - tra pari - e non prevede un prevalere dell'una parte sull'altra.

Se cosi fosse - ossia se si trattasse non di violenza ma solo di "alta conflittualita'" -  allora da cosa deriva  la scelta dei Giudici di  punire solo la madre?

Se la conflittualita' prevede  reciprocita' tra le parti e parita', allora le parti avrebbero dovuto entrambi ricevere alla stessa maniera gli stessi provvedimenti punitivi: entrambi avrebbero dovuto essere considerati "non collaborativi" !

Ma cosi non e' stato, dimostrando un grave pregiudizio dei Giudici solo ed esclusivamente verso la donna, che oltretutto in realta' e' la vittima della relazione violenta.

La verita' e' che nel caso non ci troviamo dinanzi una  "conflittualita' genitoriale", ancorche' "grave", ma dinanzi un caso di violenza domestica.

E cio', sebbene le Corti non vogliano ammetterlo esplicitamente, lo si deriva anche dalla scelta stessa  di collocare il bambino  con il padre, ma non nell'abitazione paterna, bensi  in una struttura che possa controllarne gli agiti!

Cio' stante diventa evidente e paradossale come le Corti, pur implicitamente riconoscendo la madre quale vittima di violenza del minore, abbiano comunque scelto di punire la madre : cio'  in quanto la relazione paterna  appare  l'unica da salvaguardare sempre e comunque!

Di una Giustizia cosi irrazionale  e in sfacciata violazione della Convenzione d'Istanbul,  avremmo fatto volentieri a meno.


di seguito si trascrive il testo della Sentenza


"CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE -

ORDINANZA 19 maggio 2020, n.9143 -

Presidente Giancola - Relatore Mercolino

.......

Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per cassazione, proposta dalla difesa del controricorrente in relazione al carattere provvisorio del provvedimento impugnato, costituente espressione di giurisdizione non contenziosa, e quindi inidoneo ad acquistare efficacia di giudicato.
La più recente giurisprudenza di legittimità, rimeditando il proprio precedente orientamento, anche alla luce delle modificazioni normative introdotte in materia di filiazione dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219 e dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha infatti riconosciuto la proponibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il decreto con cui, in sede di reclamo, la corte d'appello abbia confermato, modificato o revocato provvedimenti de potestate adottati dal tribunale per i minorenni ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., osservando che tali provvedimenti hanno carattere decisorio e definitivo, in quanto incidenti su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, nonché revocabili o modificabili solo in presenza di fatti nuovi, e pertanto idonei ad acquistare efficacia di giudicato rebus sic stantibus (cfr. Cass., Sez. Un., 13/12/2018, n. 32359; Cass., Sez. I, 25/07/2018, n. 19780; 21/11/2016, n. 13633). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche a provvedimenti, come quelli che dispongano l'affidamento ai servizi sociali, non ablativi ma comunque limitativi della responsabilità genitoriale, in quanto incidenti sulle modalità di esercizio della stessa, essendosi rilevato che tale misura non comporta alcuna modificazione nella qualificazione giuridica del provvedimento (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/2018, n. 28998): allo stesso modo, deve ritenersi quindi operante in riferimento al decreto impugnato, con il quale la Corte d'appello, decidendo sul reclamo proposto dalla ricorrente, ha confermato il collocamento del controricorrente e del figlio minore presso una comunità educativa, disposto dal Tribunale per i minorenni a seguito del ricorso proposto dall'uomo ai sensi dell'art. 333 c.c.; non vi è infatti prova del carattere meramente provvisorio ed urgente del provvedimento, il quale, pur non avendo comportato la conclusione del procedimento dinanzi al Giudice minorile, e non prevedendo comunque una soluzione definitiva, risulta idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sulle posizioni delle parti, essendo destinato ad operare almeno fino a quando non venga meno la conflittualità che caratterizza attualmente i rapporti tra le stesse (cfr. Cass., Sez. VI, 24/ 01/2020, n. 1668).
2. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 337-ter c.c., dell'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176, e dell'art. 32 Cost., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti i maltrattamenti e le violenze posti in essere dal M. nei confronti di essa ricorrente e del minore, a causa del mancato accertamento degli stessi in sede penale. Premesso infatti che nei confronti dell'uomo risultavano pendenti tre procedimenti penali per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 585 c.p., sostiene che, nel richiamare la presunzione di innocenza, la Corte territoriale non ha considerato che la stessa opera come garanzia per l'imputato in sede penale, ma non costituisce prova d'innocenza in sede civile, ed ha quindi omesso di valutare il prevalente interesse del minore, il quale imponeva di procedere all'accertamento dei fatti indipendentemente dall'esito dei giudizi penali, nonché di decidere sulla base del criterio civilistico del 'più probabile che non', anziché secondo quello penalistico della certezza 'oltre ogni ragionevole dubbio'.
2.1. Il motivo è infondato.
Pur avendo impropriamente richiamato la presunzione d'innocenza, operante esclusivamente in sede penale, la Corte territoriale non ha affatto escluso la rilevanza dei comportamenti penalmente censurabili ascritti dalla P. al M. , essendosi limitata a negare il carattere decisivo dei procedimenti penali pendenti per l'accertamento degli stessi, non ancora pervenuti neppure alla pronuncia di una sentenza di primo grado, ed avendo pertanto proceduto ad un'autonoma valutazione dei predetti comportamenti, all'esito della quale ne ha ridimensionato la portata, sia sotto il profilo materiale che sotto quello della potenziale dannosità per l'equilibrato sviluppo psicofisico del minore. Non possono pertanto ritenersi violati nè le disposizioni richiamate dalla ricorrente, che individuano l'interesse superiore del minore quale criterio fondamentale di valutazione cui devono ispirarsi tutte le decisioni riguardanti l'affidamento e la protezione dello stesso, nè il principio di autonomia e separazione, cui è improntata la vigente disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, il quale postula che, al di fuori delle ipotesi di sospensione necessaria e delle altre previste dagli artt. 651 c.p.p. e segg., aventi carattere derogatorio, il processo civile, anche se riguardante un diritto il cui riconoscimento dipenda dall'accertamento degli stessi fatti materiali che costituiscono oggetto di un giudizio penale, prosegua il suo corso senza essere influenzato da quest'ultimo, ed il giudice civile, pur potendo utilizzare gli elementi di prova acquisiti in sede penale, accerti autonomamente i fatti con pienezza di cognizione, sottoponendoli al proprio vaglio critico, senza essere vincolato dalle soluzioni e dalle qualificazioni adottate dal giudice penale (cfr. Cass., Sez. VI, 3/07/2018, n. 17316; Cass., Sez. lav., 12/01/2016, n. 287; 10/03/2015, n. 4758).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che l'interesse superiore del minore imponeva di procedere, ai fini della scelta delle misure da adottare concretamente, ad un bilanciamento tra i rischi ed i benefici collegati alle diverse soluzioni, nonché di formulare un giudizio prognostico in ordine alla possibilità ed ai tempi di recupero del rapporto genitoriale ed alla capacità dei genitori di riprendere un ruolo educativo ed affettivo. Rileva che, nel disporre l'ingresso del minore in comunità, con la conseguente alterazione delle sue abitudini di vita, la Corte territoriale ha omesso di valutare se tale soluzione risultasse meno traumatica della continuità affettiva nella dimora materna, nonché di esaminare l'ipotesi di una riemersione delle violenze familiari, avendo fondato il proprio convincimento su elementi valutativi della genitorialità privi di specificità e significatività, senza tener conto del parere contrario espresso dal curatore del minore, delle conclusioni dei c.t.u. e dei provvedimenti adottati dal Tribunale ordinario, che avevano escluso la sussistenza di comportamenti ostruzionistici di essa ricorrente.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In tema di provvedimenti riguardanti i figli, questa Corte, nel confermare il ruolo fondamentale dell'interesse del minore, quale criterio esclusivo di orientamento delle scelte affidate al giudice, ha ripetutamente precisato che il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della loro personalità, delle consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l'esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell'esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest'ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione del minore (cfr. Cass., Sez. I, 8/04/2019, n. 9764; 23/09/2015, n. 18817; 22/05/2014, n. 11412). A tale criterio si è puntualmente attenuto il decreto impugnato, il quale, nell'esaminare le diverse soluzioni ipotizzabili per il collocamento del minore, ha conferito particolare rilievo all'esigenza di assicurare il recupero del rapporto con il padre, pregiudicato da una lunga interruzione dovuta allo atteggiamento di rifiuto manifestato dalla madre nei confronti dell'ex convivente; in quest'ottica, la Corte territoriale ha valutato il comportamento tenuto da entrambi i genitori nei rapporti con il figlio e la disponibilità manifestata da ciascuno di essi al superamento della conflittualità in atto tra loro, evidenziando gli effetti potenzialmente pregiudizievoli di tale situazione sullo equilibrato sviluppo del minore, ed attribuendo quindi la preferenza, tra le varie alternative, al collocamento del piccolo S. con il padre presso una struttura educativa, ritenuto idoneo da un lato ad evitare il grave condizionamento psicologico determinato dal continuo contatto con la madre, dallo altro a consentire il superamento delle problematiche di tipo personologico manifestate dal padre, attraverso adeguati interventi psicoterapeutici. Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado di individuare circostanze di fatto non considerate nel decreto impugnato, ma si limita ad insistere su elementi che hanno costituito oggetto di specifica valutazione, quali il distacco dall'ambiente familiare materno o i comportamenti violenti addebitati al padre, nonché sul parere contrario espresso dal curatore del minore e dal c.t.u., non aventi carattere vincolante per la Corte territoriale, la quale, nel discostarsene, ha ampiamente motivato la scelta effettuata. Nel lamentare l'omissione e l'illogicità della motivazione, la ricorrente omette poi d'indicare lacune argomentative o carenze logiche talmente gravi da impedire di ricostruire il ragionamento seguito per giungere alla decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257).
4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 26 e 31 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77, osservando che, nel disporre il collocamento del minore in comunità con il padre, autore delle violenze e dei maltrattamenti, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell'obbligo, emergente dalle predette disposizioni, di prendere in considerazione, ai fini della determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, gli episodi di violenza rientranti nell'ambito applicativo della Convenzione, in modo tale da evitare di compromettere i diritti e la sicurezza delle vittime o dei bambini.
4.1. Il motivo è infondato.
La Corte di merito, pur avendo ridimensionato la portata degli episodi di violenza addebitati dalla ricorrente all'ex convivente, non ha affatto omesso di adottare le misure volte a garantire i diritti ed i bisogni del minore, nello interesse superiore dello stesso, e di prendere in considerazione, ai fini del suo collocamento, l'esigenza di far sì che il recupero dei rapporti con il padre non vada a detrimento della sua sicurezza: la soluzione adottata, pur non corrispondendo a quella suggerita dal c.t.u., è stata infatti individuata sulla base di ampi approfondimenti istruttori, demandati sia al consulente che ai servizi sociali, conformemente a quanto prescritto dell'art. 26 cit., comma 2, per i bambini che siano stati testimoni di ogni forma di violenza, mentre la scelta di trasferire il minore presso una struttura educativa, invece di collocarlo direttamente presso il padre, risponde proprio alle finalità di tutela previste dell'art. 31, comma 2, essendo volta ad assicurare una graduale ripresa dei rapporti con la collaborazione e sotto la vigilanza di persone professionalmente qualificate.
5. Il ricorso va pertanto rigettato.
La natura della causa e la peculiarità delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese processuali.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

* riguardo le interrogazioni parlamentari dell'ONorevole Veronica Giannone a sostegno delle madri protettive e volte a denunciare i casi di assurda in-giustizia che si stanno verificando nelle Corti italiane, rinviamo al seguente link  )https://protective-mothers-italy.webnode.it/l/continua-il-lavoro-incessante-dellonorevole-veronica-giannone-a-sostegno-delle-madri-protettive/

v. notizie sull'Ordinanza

in  https://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=18090&id=18090#.Xsws78DOOUkhttps://www.dirittoegiustizia.it/allegati/9/0000088139/Corte_di_Cassazione_sez_I_Civile_ordinanza_n_9143_20_depositata_il_19_maggio.html

https://www.puntodidiritto.it/affidamento-minore-padre-frutto-rifiuto-madre-verso-uomo/   



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